Piove. E la pioggia cambia tutto.
La temperatura è crollata di quasi 10 gradi. Il cielo è minaccioso, sopra un Danubio torvo si raccolgono nuvole cariche di minacce. Abbiamo davanti 57 chilometri per arrivare a Linz, abbandonare il buffet della colazione è più difficile che mai (i gemelli adorano il buffet della colazione!).
Nonostante tutto, mi sento euforico.
Sono contento di questa giornata di maltempo perché so che ce la ricorderemo e ne parleremo a lungo.
È sempre stato così, è una sorta di legge non scritta, le tappe più difficili consegnano alla memoria ricordi indelebili.
Abbiamo kway e coperture per le borse, anche se non ci si può proteggere davvero dall’acqua. Arriva dall’alto ma anche dalla strada, sollevata dalle ruote.
All’inizio è fastidioso sentirla entrare nelle scarpe, nel collo, nei pantaloni. Ma poi, soprattutto se è fine fine come in questa seconda tappa, diventa parte del viaggio. E quasi non la senti più.
Per fortuna il meteo è azzeccato, dopo circa 20 chilometri, il cielo si apre e arriviamo a Linz quasi completamente asciutti e con una gran fame.
Pietro e Diego insistono per andare a mangiare da Jack the Ripperl (Ripperl in tedesco significa costoletta), specializzato in carne alla griglia.
Mangiata pantagruelica, segue lunga passeggiata serale per il centro di Linz, terza città d’Austria, famosa soprattutto per tre cose: Giovanni Keplero, che qui formulò le sue teorie sul movimento dei pianeti, Wolfgang Amadeus Mozart, che qui compose la Linzer Sinfonie e la Linzer Sonate, e la torta Linzer, uno dei dolci più antichi del mondo, dato che la ricetta risale al 1653.
Buonissima la Linzer!

Quando partiamo da Linz, è una bella giornata.
Il sole è tornato e, con lui, l’estate. È proprio quello che abbiamo bisogno perché ci aspetta un luogo terribile: il campo di concentramento di Mauthausen. Per arrivarci, ci sono due chilometri di salita degna di un gran premio della montagna. La sofferenza perfetta per allontanarsi dal corso vacanziero del Danubio e immergersi in uno strazio irraccontabile. Rispetto ad Auschwitz, il campo e le baracche sono state completamente restaurate e, seppure abbiano mantenuto il loro impianto originale, non hanno la potenza evocativa di altri campi. Troppa vernice. La parte museale è curatissima, come sempre sono i dettagli della vita quotidiana nel campo la tortura più dolorosa, ma Pietro e Diego faticano a comprendere l’immane tragedia che qui si è consumata (soltanto) 70 anni fa. Peccato.
La nostra prenotazione di Booking ci porta a Sankt Pantaleon-Erla, un paesino di campagna in mezzo ad altri paesini di campagna, quintessenza dell’Austria rurale. Durante la cena arriva il temporale che poi andrà avanti tutta la notte e anche il giorno seguente. È una pioggia diversa da quella che abbiamo affrontato il secondo giorno. Fitta, battente, grassa. Impossibile resistere per 58 chilometri. Così, dopo colazione, studiamo un piano alternativo: con una manciata di chilometri possiamo raggiungere St. Valentin e prendere un treno per Ybbs an der Donau, meta di giornata. Se è vero (e secondo me è molto vero) che i chilometri non solo si contano, ma si “pesano” anche, i 4 che facciamo per arrivare in stazione sono una vera avventura. La pioggia è torrenziale. Essendo fuori dalla pista ciclabile, cerchiamo di stare il più compatti possibile, per essere più visibili. Così facendo solleviamo un nuvolone d’acqua che per l’ultimo del gruppo (io) non è piacevolissimo. Mentre attraverso questa nuvola d’acqua, però, non posso che essere orgoglioso della mia famiglia ciclistica. Questi 4 mila metri sono il battesimo perfetto per il nostro primo, vero, viaggio in bicicletta!

Un’ora di viaggio e siamo a destinazione.
Alla stazione di Ybbs, scendiamo dal treno (molto comodamente, grazie al pianale ribassato) e troviamo un gruppetto di ragazze molto allegre, con il carrello della spesa pieno zeppo di regalini.
Ce n’è una vestita di bianco, si sposerà tra una settimana.
Da queste parti è tradizione che, nei giorni precedenti il matrimonio, la sposa se ne vada in giro con le sue amiche, e abbondante scorta di alcolici, a brindare e raccogliere fondi per la festa.
Io e Marina ci uniamo volentieri al brindisi con una specie di vin brulé, perfetto in una giornata come questa, mentre Pietro e Diego scelgono degli occhiali giganti che poi, ovviamente, vogliono subito indossare.
E così, poco dopo, sfrecciano sotto la pioggia di Ybbs con questi occhialoni e un buonumore veramente ingiustificabile. Vederli pedalare così è un autentico spettacolo!
Avevamo scelto Krems per un giorno di riposo che pensavamo di destinare a un parco di divertimento acquatico.
Scivoli, onde artificiali e trampolini per spezzare la routine della bicicletta e regalare ai gemelli un po’ di quei tuffi di cui sono fanatici.
Ma con 16 gradi non ci sono proprio le condizioni per andare a fare il bagno, così a Krems facciamo turismo tradizionale.
Sulla carta missione impossibile con due 12enni al seguito. Ce la caviamo con il museo del fumetto, le vasche per il centro storico e, soprattutto, una bella merenda a base di Marillenknödel, gli gnocchi dolci alle albicocche, che sono la produzione agricola d’eccellenza di questa regione.

Il giorno di stop a Krems ha un effetto collaterale imprevisto: contiene già il sapore della fine. Mancano un centinaio di chilometri a Vienna: i primi 50 filano via in una splendida giornata estiva immersa nelle campagne austriache con diversi avvistamenti di conigli e cerbiatti. Gli ultimi, invece sono tosti. Tostissimi.
Torna il brutto tempo, e questa volta a tradimento. L’ultima tappa è anche la peggiore. La pioggia è talmente violenta che, a un certo punto, siamo costretti a ripararci nel gabbiottino di una fermata del bus.
Dopo un’ora ci rimettiamo in strada, poco più di 10 chilometri e siamo di nuovo fermi. Per un cambio di vestiti e una provvidenziale zuppa calda. Sembra autunno, invece è il 9 agosto.
Il viaggio è finito, domani non si riparte.
Non si chiudono le borse, non si fanno calcoli sui chilometri. Non si guarda il meteo, non si studia la destinazione.
Domani è di nuovo il tempo di chiedersi come si fa a vivere senza essere nomadi? Spero che questi 400 chilometri possano insinuare la domanda anche a Pietro e Diego.


Matteo Scarabelli
Giornalista milanese, inciampato nella new economy, salvato dalla bicicletta. Nel 2004 ha attraverso i nuovi stati membri dell’Unione Europea, da Malta a San Pietroburgo. Nel 2006 ha percorso il periplo completo del Mediterraneo tra Europa, Africa e Asia. Nel 2007 ha cominciato a pedalare con Marina. E, dal 2011, si sono aggiunti anche Pietro e Diego. Il sogno nel cassetto si chiama Karakorum.